Concerto n. 2

Per pianoforte e orchestra

In questo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra ho proseguito nella stessa direzione presa in lavori recenti come la Seconda Sinfonia per ventuno pianoforti, verso una nuova espressività che fonde insieme con coscienza metalinguistica procedimenti neotonali e dodecafonici: poter usare un materiale che suona "tradizionale" oggi, nel tentativo di creare possibilmente un linguaggio nuovamente comunicabile.
In questa opera ho tentato proprio questo, anche da un punto di vista strutturale, con un andante iniziale che è minimale, ma la struttura ripetuta dal pianoforte lentamente si trasforma come centrifugando in arabeschi sempre più complessi. Tutto questo primo movimento "andante minimale" è come un lento inarrestabile crescendo che sfocia nella cadenza solistica, estesa pagina che libera traiettorie come un recitativo non più scandito dal precedente passo isocrono.
Il breve e sospeso secondo movimento "ad agio" immette nell'"allegro finale", ove si riconsegna al pianoforte un anelito fuggente di espressione in una scrittura pianistica che può alludere a esasperati tardoromanticismi costantemente arenati in una sorta di afasia. Ma la cifra vera di questo finale risiede anche in un vitalismo fatto di trilli di clusters che digrediscono da spezzoni melodici intesi come false citazioni.